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Formazione Vendite: I Contenuti del Corso Vendita Professionale "Solution Selling™"
Approfondimento su empatia e ascolto empatico. Dati ed emozioni: i due ingredienti basilari dell’ascolto empaticoQuando un’alba o un tramonto non ci danno più emozioni, significa che l’anima è malata. (Roberto Gervaso)
L’empatia è definita in mille modi diversi. Per il nostro scopo, è sufficiente concentrarsi, qui ed ora, sul fatto che l’empatia è uno “stato della mente”, uno stato di apertura all’ascolto, di predisposizione a cogliere i dati e le emozioni che arrivano dall’altra persona, a “sentirli”, arrivando a capire una situazione con immedesimazione, avere coscienza di ciò che vive, con gli occhi e con il cuore della persona che ce la sta raccontando. Approfondiremo il concetto più avanti. Lo abbiamo già detto, ma l’empatia per quanto profonda non equivale alla simpatia. Chi pratica ascolto empatico deve essere molto bravo a “cogliere” e “sentire” ma non deve assolutamente cadere nel tranello del “confondere il proprio sè con quello dell’altro”. Quindi, stiamo per ora su un aspetto tecnico: la scomposizione dell’ascolto in dati ed emozioni. È fondamentale distinguere l’“ascolto attivo”, dei dati da un ascolto delle emozioni. Ascoltare dati e ascoltare emozioni sono due processi diversi. A volte compresenti, e spesso diventano due "task" o compiti che viaggiano in parallelo. Ma concettualmente sono diversi. Noi abbiamo sempre a disposizione "il tutto" mentre ascoltiamo, sta a noi saper cogliere, saper distinguere, saper "apprezzare" ed essere sensibili anche alle più sottili sfumature dell'anima e dell'emozione. I due strati dell’ascolto possono essere visti come due fiumi che viaggiano paralleli l’uno all’altro. Due flussi di informazioni, anziché di acqua, che dobbiamo percepire, contemporaneamente.
È vero che anche un’emozione è una forma di “dato”, ma dobbiamo constatare, giocoforza, che un conto è trattare dati qualitativi come il sentire piacere, o essere orgogliosi, o sentirsi tristi o depressi, e un altro conto è annotare informazioni come “Londra”, “Milano”, “50 km”, “10 kg”, “aereo”, “treno”, “100 Euro”, e altre informazioni quantitative o qualitative più tangibili. Possiamo dire che scientificamente abbiamo un “data-point” (punto dati, informazione certa) ogni volta che riusciamo ad estrarre una proposizione verificabile. L’affermazione “Prima delle 17 Davide ha concluso una vendita ed era felicissimo” contiene quattro data-point. Ascoltare bene assomiglia molto al processo di “estrarre e separare”, come avviene in un giacimento. Estrarre materiale e separarlo in pietre da un lato, e fango dall’altro. Nell’ascolto, i materiali sono quasi sempre congiunti, quasi incollati, ma possiamo imparare a separarli. Quando passiamo a brani di video, o ad interazioni umane in tempo reale, dobbiamo diventare ancora più bravi, perché le emozioni si “nascondono” dietro a microespressioni, piccoli segnali involontari del volto, di durata inferiore ad ¼ di secondo, o possono invece diventare molto manifeste e verbalizzate. La microespressività fu scoperta per prima da E. A. Haggard e K. S. Isaacs nel 1966 mentre analizzavano delle immagini da dei filmati di psicoterapia in cerca di segni non verbali tra loro e i pazienti, esaminando numerose volte a rallentatore il filmato di un colloquio svolto con una paziente. Dopo diversi anni di studio vengono approfondite da psicologi come Paul Ekman. Le microespressioni più importanti e riconosciute sono:
Quando ascoltiamo, possiamo prestare attenzione ai dati o alle emozioni. Riuscire a cogliere tutti e due è sicuramente meglio. Dietro ad un ascolto delle emozioni vi è una visione dell’uomo come creatura che “sente” e non solo come creatura che “ragiona”.
Quando trattiamo con la gente, ricordiamo che non stiamo trattando con persone dotate di logica. Noi stiamo trattando con creature dotate di emozioni. (Dale Carnegie)
Può sembrare strano sottovalutare la parte logica dell’essere umano, ma dobbiamo renderci conto che, secondo le neuroscienze, solo il 2% delle capacità di calcolo mentali sono a disposizione per ragionamenti coscienti e razionali, ed il resto rimane diviso tra dati necessari a far funzionare la “macchina biologica” cuore, polmoni, respirazione, e milioni di processi e dati del subconscio, sui quali si innestano le emozioni, che vogliamo o meno. Ricordiamo che anche un’emozione è in qualche misura un dato, ma va da sé che un conto è fare domande attive partendo dalla frase “ho comprato 4 kili di pesce” e altro è farlo per approfondire la frase “in questo periodo mi sento pieno di speranza ma anche di rimorsi”. Le emozioni sono espresse sia con le parole, ma molto maggiormente tramite microespressioni del volto, segnali del corpo (body language), e stato della voce (paralinguistica), che non tramite la componente verbale. Le sole parole non veicolano emozioni se non sono accompagnate da un contesto adeguato. Il modo con cui sono dette, molto di più. Ma non vengono di solito “dette”. Semplicemente si manifestano nel comportamento non verbale, nelle espressioni del volto. E anche se non dette, vanno “ascoltate”.
La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. (Peter F. Drucker)
Ascoltare i dati o ascoltare le emozioni qualifica la differenza tra un ascolto informativo centrato sui dati e un ascolto a forte orientamento psicologico. Ascoltare dati non equivale a cogliere stati emotivi. Possiamo infatti applicare a) un ascolto di tipo psicologico o b) un ascolto tecnico-informativo. Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.
[1] Fonte. Rielaborazione da https://it.wikipedia.org/wiki/Microespressioni
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