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L'ascolto nella Vendita Professionale

Formazione Vendite: I Contenuti del Corso Vendita Professionale "Solution Selling"

libro Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Materiali tratti dal libro di Daniele Trevisani

Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse.

Franco Angeli editore, Milano

La fase critica della Vendita Professionale: l’ascolto attivo ed empatico. La Scala degli  8 Livelli di Ascolto

– Qual è la cosa di cui hanno più bisogno gli esseri umani?
– Il desiderio sconfinato di essere ascoltati.
(Eugenio Borgna, psichiatra)

 

Capire i bisogni del cliente richiede saper far parlare il cliente, e durante l’ascolto, praticare ascolto attivo ed empatico.

Anche l’ascolto, come ogni altra competenza, va allenato. Non si diventa bravi ascoltatori o empatici per caso, lo si diventa con l’allenamento specifico.

 

Nessun vincitore crede al caso.
(Friedrich Nietzsche)

 

Molti venditori sono bravi a “mettere su il disco di vendita” e ripetere la stessa frase già detta migliaia di volte. Pochi sono invece dei grandi ascoltatori, capaci di portare la presenza mentale nel “qui ed ora” del colloquio di vendita o trattativa.

Ogni vendita si basa ad un certo punto del tempo, su uno o più colloqui tra persone. Nella vendita consulenziale, il colloquio di vendita è un momento centrale, e entro il colloquio stesso, la fase di ascolto è determinante per il successo.

Se non capisci lo stato del cliente, semplicemente non vendi.

Uno strumento visivo è molto utile per comprendere immediatamente che esiste una vera e propria “scala” nei livelli di ascolto e nella qualità dell’ascolto. Da un ascolto criticante ad un ascolto empatico, la differenza è parecchia, e tangibile. Un ascolto attivo ed empatico favorisce la vendita, un ascolto distratto o distorsivo la allontana.

Questa scala è esposta nella prossima figura. In essa notiamo una progressione verso il miglioramento dei livelli di ascolto, man mano che si sale nella scala.

Ascoltare non è solo un atto, è un atto prezioso, mette in connessione due menti e fa emergere idee che da soli probabilmente non sarebbero mai venute a galla.

 

“Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio,

il cervello degli altri.”

Leonardo da Vinci


 

Figura  5 -  La Scala dei Livelli di Ascolto (Modello a 8 Stadi di Trevisani)

 

Partiamo dai livelli decisamente negativi.

Un ascolto negativo ha la caratteristica di farti star male, quando lo subisci. Un ascolto sbagliato genera il sentimento di non essere capiti, o trascurati, o non considerati per quanto si dice e nemmeno come persone. Va contro, in pratica, ad un bisogno basilare di ogni essere umano: essere accolti e capiti. Un bisogno tanto forte come quello d’aria.

Per dare il peggio di sè nell’ascolto è sufficiente interrompere, giudicare, non ascoltare, distrarsi, ascoltare mentre si fa altro, si opera su uno smartphone, non guardare le persone, distorcere ogni possibile interpretazione, insomma, un intero bagaglio di errori, che di seguito potrete esplorare meglio.

 

Forse non si desiderava tanto essere amati, quanto essere capiti.
(George Orwell)

L’ascolto schermato o distorsivo

L’ascolto schermato blocca o amputa parte dei dati provenienti dal canale uditivo e li distorce, così come fa per gli altri canali: vista, tatto, gusto, olfatto.

L’esito è non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso. Letteralmente, capire una cosa per l’altra. Accade quando si è troppo stanchi per ascoltare, o l’ascoltatore sta vivendo uno stato emotivo non adeguato ad un ascolto di qualità (es, rabbia, frustrazione, euforia, passione, e tante altre emozioni di forte intensità) e vi sono quindi stati interni che si frappongono ad un ascolto di qualità.

Vi sarà capitato molto spesso di essere dall'altra parte, nel ruolo della persona che parla, e di non essere affatto capiti, o addirittura completamente fraintesi. Bene, ora avete una precisa etichetta per questa condizione.

 L’ascolto giudicante/aggressivo

 

Essere incompresi da coloro che amiamo è la condizione peggiore per vivere e affrontare ogni giorno gli impegni della vita. L’incomprensione pesa come una montagna e traccia solchi profondi sull’anima.

 (Romano Battaglia)

 

L’ascolto giudicante/aggressivo è caratterizzato dal fatto che il ricevente non ascolta veramente, ma raccoglie stralci di informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. Nella vendita, questo significa farsi cogliere dalla “frenesia alimentare”, quel comportamento per cui, appena odorato un brandello di carne, ci avventiamo su di esso e smettiamo di analizzare ed ascoltare. Nella vendita, la frenesia alimentare si trasforma nel “cercare di chiudere la vendita” troppo presto, prima ancora che molte altre informazioni disponibili ed interessanti siano state colte. Queste vengono di fatto eliminate dal discorso, per un semplice motivo: la fretta di concludere.

Quando riguarda noi, possiamo dire che stiamo "mettendo su un muro" verso l'altra persona, tale che non importa nemmeno cosa dica, come lo dica, è tutto sbagliato "a prescindere". Quello che possiamo chiamare un “riverbero negativo” può toccare sia il tema “quello che hai detto sul tema x è una stupidaggine”, oppure andare direttamente al cuore, attaccando la persona stessa e non la sua frase “sei un egocentrico e non capisci niente”.

L’ascolto giudicante si fa con le parole ma non solo. Può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa in modo non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro. L’ascolto aggressivo innesca la spirale aggressione-odio. È veramente un nemico delle relazioni umane e dell’umanità più in generale.

 

La pace non può essere mantenuta con la forza; può essere conseguito solo la comprensione.

 (Albert Einstein)

Ascolto apatico o passivo

Che poi ci sono cose peggiori di un’assenza. Una presenza distratta.

 (manuela_reich, Twitter)

 

L’ascolto apatico o passivo è caratterizzato dalla nostra o altrui "assenza mentale", ed è negativo. Privo di energia, stanco, “morto”, spento, distratto. È un ascolto vuoto, praticato da una persona disinteressata, o incapace nell’ascoltare, spesso totalmente assorbita dai suoi processi interni, dai suoi ragionamenti interiori, in cui le parole ascoltate non fanno breccia. Come se volessimo lanciare freccette su una cassaforte blindata, quelle freccette si infrangono e cadono. Niente entra veramente. La comunicazione e i messaggi sfiorano solo queste persone, e dire che capiranno poco di quanto detto, è fargli un regalo.

Ascolto a tratti

Il fattore principale di distrazione non sono le chiacchiere della gente che ci circonda, ma quel chiacchiericcio che avviene all’interno della nostra mente. Per poter raggiungere una perfetta concentrazione è necessario mettere a tacere queste voci interiori.

 (Daniel Goleman)

 

Un ascolto attento in alcuni momenti, distratto in altri. È un meccanismo che crea un ascolto pessimo.

L’ascolto a tratti è estremamente comune, probabilmente lo stato più realistico delle interazioni medie quotidiane.

Ascoltiamo, poi qualcosa del contenuto altrui ci “accende” perché connesso ai nostri interessi, allora magari facciamo una domanda di approfondimento, poi il contenuto altrui cambia, o ci viene in mente qualcosa, saltiamo da un pensiero ad un altro, la testa “va via”, o sentiamo una frase di una conversazione altrui che ci attira, ci perdiamo, “andiamo via” dalla conversazione, anche se fisicamente siamo ancora li.

Il modo più rapido per applicare un ascolto sbagliato "a tratti" è di ascoltare con un media acceso, ascoltare mentre si digita su una tastiera o schermo, ascoltare con la tv accesa o con un monitor acceso, che possiamo considerare "sottofondo" ma sottofondo non è, in quanto da esso escono informazioni che a volte ci catturano, e questo è uno degli ascolti peggiori in assoluto, tranne che per alcuni momenti di "presenza mentale".

Lo sforzo di parlare con qualcuno che ascolta "a tratti" è enorme, sia fisico che emotivo.

Dopo questa rassegna di ascolti pessimi, andiamo verso ascolti di natura migliore evidenziati nella scala.

 

Possiamo concludere le riflessioni su questa prima parte della scala con le parole di Carl Rogers, psicologo fondatore della Psicologia Umanistica:

“La nostra prima reazione di fronte all'affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un opinione tendiamo subito a pensare 'è ingiusto', 'è stupido', 'è anormale', 'è irragionevole', 'è scorretto', 'non è gentile'. Molto di rado ci permettiamo di 'capire' esattamente quale sia per lui il significato dell'affermazione.”[1]

L’ascolto efficace. Ascolto selettivo, attivo, empatico e simpatetico

Quando pensiamo ad un ascolto efficace ci viene in mente innanzitutto un’esperienza positiva, momenti in cui ci siamo sentiti ascoltati con il cuore e non solo con le orecchie.

Ma l’ascolto efficace può avere tante sfumature, che vale la pena esplorare. Essenziale è capire che l’ascolto diventa efficace quando raggiunge i suoi fini, e i suoi fini sono diversi in base alla relazione. In una fase di ascolto di una persona che ha subito un trauma, l’ascolto empatico sarà importante e anzi curativo. Nell’ascolto praticato durante la vendita, l’efficacia viene dal fatto che l’altra persona arrivi a sentirsi di fronte ad una persona che “accoglie” quanto dice e quindi valga la pena aprirsi e parlare, emettendo così informazioni preziosissime che il venditore può cogliere per ottimizzare la propria offerta e strategia.

Ascolto selettivo

Con l’ascolto selettivo superiamo la “zona rossa” dell’ascolto ed entriamo in modalità che possono essere realmente utili.

L’ascolto selettivo, pur non essendo empatico negli intenti, va a cercare informazioni molto precise, che possono essere sia oggettuali (cose, persone, tempi) che emozionali (stati d’animo, sentimenti), rispetto ad un certo episodio o tema in fase di esplorazione. Un ascolto selettivo nella vendita può essere ad esempio il fare domande per capire cosa pensa l’interlocutore del parco fornitori attuale e dove vi sono spiragli di apertura o bisogno da soddisfare.

Alcune tecniche di ascolto qui diventano fondamentali:

·         Reflecting: fare da specchio, riformulare quanto si è capito. Consente di poter precisare meglio e apre altro contenuto.

·         Deflecting: Riconoscere immissioni di temi che non c’entrano e riuscire a farli uscire dalla conversazione, smorzarli ed espellerli.

·         Probing: Mettere alla prova un’informazione con una domanda collegata, es chiedere “visto che mi hai detto che è arrivato tardi, quando è arrivato?”. Oppure: “mi sembra di capire che lei non è molto soddisfatto di X”.

·         Recap: ricapitolazione e rilancio. Fare delle ricapitolazioni di quanto raccolto sinora e aprire “ok siamo arrivati al punto in cui ti presenti per il colloquio, ti fanno aspettare, tu inizi ad agitarti, entri e non sai più cosa dire. Poi cos’è successo?”

·         Contatto fàtico: costanti segnali di contatto visivo, cenni del capo, espressioni gutturali e paralinguistiche (uhm, ah, oh), tutto ciò che sia segnale "Fàtico" (i segnali fàtici sono quelli che dicono, in sostanza, "ci sono", sono presente, sono qui per te).

Tutte queste tecniche saranno approfondite meglio quando parleremo di “analisi della conversazione”, tuttavia è bene già da ora sapere che esistono, e che un ascolto attivo, selettivo o empatico, usa tecniche precise, non si limita alla volontà di ascoltare ma la mette in pratica con comportamenti precisi.

Nell’ascolto selettivo, siamo estremamente focalizzati nel capire una cosa specifica, una questione specifica su ciò che pensa l’altra persona, o un’informazione precisa che vogliamo cogliere.

Tutto il resto non ci interessa.

La nostra presenza mentale è accesa, acuta, ma diretta come un laser verso un punto informativo, e non - come nell’ascolto empatico - accogliente verso qualsiasi cosa emerga. Quando emerge materiale che non ci interessa, riportiamo con domande la conversazione sul “focus” che ci interessa (con il topic shifting, o ricentraggio conversazionale).

In termini di efficienza ed efficacia dell’ascolto selettivo, le nostre domande diventano “diagnostiche” solo quando riescono a depurare il quadro, lasciando solo ciò che ci interessa veramente, per cui per praticarlo bene serve tecnica e studio.

Ascolto attivo

Un buon ascoltatore aiuta ad ascoltare noi stessi.
(Yahia Lababidi)

 

Quando pratichiamo ascolto attivo siamo immersi in un’attività speciale. Stiamo dando interesse, nostro tempo, nostra energia, per capire una persona, i suoi contenuti, le sue intenzioni, e un brano della sua storia. Le persone sono generalmente diffidenti nell’aprirsi e raccontare di sè stessi, del proprio intimo.

Nella vendita B2B è raro che un interlocutore ammetta che “ci sono gravi problemi da risolvere” ma sappiamo che in quasi tutte le organizzazioni i problemi ci sono e ogni problema produce una possibilità di vendita-

L’ascolto attivo offre una “piattaforma” dove le parole altrui e i pensieri altrui possano delicatamente e progressivamente poggiarsi.

Ad ogni apertura, segue una maggiore apertura, sino a che il “nucleo” della persona si rivela per ciò che è, nel suo splendore, nel suo dolore, nella sua verità. Liberato da maschere e auto-inconsapevolezze. Lo stesso vale per l’ascolto delle organizzazioni.

Arrivare al “nucleo umano” di una persona richiede tanta strada, ma si può fare. Dal nulla dell’ascolto empatico, ogni piccolo passo in avanti verso il “condividere” è sempre significativo.

La persona che si impegna nell’ascolto, di base, vuole ascoltare, lo considera un fatto importante, al punto di frenare il suo pensiero, omettere di dire come la pensa, frenare il fatto di “prendere il turno della conversazione” per fare un’arringa o esprimere opinioni.

L’ascolto attivo si concentra sul fatto di ascoltare. Lo fa con le parole, con le domande, e anche con il corpo. Utilizza segnali corporei e paraverbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e ricapitolazioni dei contenuti percepiti, e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.

Si può praticare ascolto attivo per due grandi classi di interessi, persino opposte una dall’altra:

1.      lo si può fare come atto estremo di amore, un dono che facciamo ad una persona amica, o un momento di grande umanità in cui ci interessiamo agli altri;

2.      oppure, può trattarsi di un ascolto estremamente strategico, un ascolto professionale nel quale le informazioni racchiuse nella mente di qualcun’altro ci servono. Ci possono servire per aiutare l’altro stesso, come nel coaching o nella terapia, o ci servono per dirigere un’organizzazione, o per prendere decisioni, come nella leadership.

In ogni caso, quanto abbiamo nella nostra mente si arricchisce sempre, grazie all’ascolto degli altri.

È naturale che da un ascolto attivo emergano più informazioni e la persona possa anche esporre informazioni emotive, tanto più profonde quanto più l’ascoltatore s’impegnerà nel non dare giudizi, non giudicare, non interrompere, non “interpretare”.

L’ascolto attivo richiede energia, impegno, un corpo riposato, una mente attenta e vigile. Quando siamo in questa modalità, anche un solo cenno di sopracciglio, può darci informazioni preziose.

Ascolto empatico

Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
(Denis Waitley)

 

L’empatia è uno stato superiore, estremamente avanzato, di una relazione umana. Potremmo definirlo come il sapersi mettere nei panni degli altri per poter sentire quello che essi provano. L’empatia in sè non è né buona né cattiva, e infatti si può utilizzare l’empatia strategica anche per capire come ragiona un ricercato, un killer, e quale sarà la sua prossima mossa (empatia strategica).

In generale, nei rapporti umani quotidiani e professionali, l’empatia è positiva ed è anche merce rara. Come evidenzia Jeremy Rifkin:

 

“la coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l'altro e celebrare la sua vita”.[2]

 

L’empatia è rara perché richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente, e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone. Utilizza inoltre la metacomunicazione (letteralmente “comunicare sulla comunicazione stessa”) ad esempio chiede senza timori il significato di un termine che non comprende, o, nelle poche occasioni in cui l’ascoltatore parlerà, lo farà per spiegare concetti che servono al processo comunicativo stesso.

L’ascolto empatico è di una rarità impressionante. Possiamo dire di averlo incontrato l’ultima volta in cui una persona ci abbia dedicato un’ora di tempo senza raccontarci niente di lui o lei, per ascoltare solo quello che noi avevamo noi da dire, facendoci domande per capire meglio, non solo le nostre informazioni, ma le nostre emozioni. Bene, se è successo, si è trattata probabilmente di una sessione di coaching, di counseling o di terapia. Raro che succeda nella vita quotidiana.

Periodi più brevi ma dotati della stessa intensità di ascolto si incontrano a volte nella vita, nelle amicizie vere, o tra veri compagni sul lavoro, ma non è detto che l’attenzione sia sempre tutta e solo centrata su uno dei soggetti, come invece avviene nell’empatia. E del resto, se servono corsi specifici per imparare l’empatia, è perché la scuola, la formazione accademica, i libri, sono sempre molto spostati sul dare informazioni, piuttosto che sull’insegnare ad ascoltare.

 

Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia,

non è stata mai data norma.
(Primo Levi)

 

La componente più difficile dell’ascolto empatico è certamente la sospensione del giudizio. Se qualcuno dice “ho picchiato mio figlio” o “ho gettato il sacco della spazzatura dal finestrino”, è praticamente impossibile non giudicare negativamente. Ma la “sospensione” del giudizio significa appunto “sospenderlo”, non “farlo sparire”. Sospenderlo affinché si possa capire meglio cosa, dove, come, perché avvengono certe cose. Se non lo facessimo avremmo perso larga parte delle informazioni che invece potevano uscire.

 

Ascolto simpatetico

A volte, ci sono delle simpatie così forti che, incontrandosi per la prima volta, sembra di ritrovarsi.

 (Alfred de Musset)

 

L’ascolto simpatetico esprime simpatia verso l’ascoltato. Ha il fine non solo di ascoltare ma anche di dimostrare affettività e piacere dell’interazione verso l’altro. È un ascolto non necessariamente migliore di quello empatico, ma solo diverso. Nell’ascolto simpatetico, la priorità è dare all’altro la sensazione di piacevolezza e vicinanza.

È essenziale far capire che ci interessa quanto sta dicendo, non solo per i dati, ma per la persona che li esprime. Ascoltare in questo caso diventa parte di un gioco relazionale che ha una componente seduttiva, quello che ci interessa non è solo una fredda analisi di dati e parole, ma vi è un forte stato di ammirazione o apprezzamento.

Dimostra quindi calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro, sia con le parole che con il sistema non verbale.

Consideriamo un fattore molto pratico. L’ascolto simpatetico è un ascolto che “avvicina”, e avvicinare relazionalmente la persona che vogliamo ingaggiare può essere un’ottima strategia psicologica per aprire poi varchi verso un ascolto più profondo.

 

“Noi siamo soliti considerare come buoni ascoltatori solo quelli che condividono le nostre opinioni.”

François de La Rochefoucauld

 

L’ascolto simpatetico può essere facilmente giudicato come un ascolto “ruffiano”, ma chiediamoci se viviamo in una società avara di complimenti o no. La nostra società è tanto rapida nel giudizio e accusa - quanto avara di carezze psicologiche, persino quando facciamo qualcosa di buono. Allora, un ascolto simpatetico, quando ci sta, quando c’è l’occasione, non è mai un regalo di poco conto.

Quando ascoltiamo qualcuno, e qualcosa di positivo riverbera in noi, lasciamo che sia, non ce ne dobbiamo vergognare.

 

“Il canto del mare termina sulla riva o nei cuori di chi l'ascolta?”

Khalil Gibran

 

Concludiamo con una breve riflessione.

L'ascolto nella vendita è fondamentale. Per entrare nella mente e nei cuori, o per estrarre informazioni, o per lavorare assieme meglio. Ma qualsiasi sia il nostro intento e il bagaglio di tecniche, ve ne è una, che davvero non posso insegnare ma solo suggerire: la volontà di ascolto.

 


 

[1] Carl Rogers (1961), " La Terapia Centrata Sul Cliente"

[2]  Jeremy Rifkin (2011). La civiltà dell'empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi. Milano, Mondadori, p. 532

 

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